La Basilica di Aquileia

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La basilica di Aquileia ha sulle spalle una storia di quasi duemila anni. Ogni epoca, dal primo cristianesimo fino ai tempi nostri, vi ha lasciato le sue tracce.

Il primo volume è riccamente illustrato con ottime foto a colori, accompagnate da testi di carattere introduttivo, tali da incuriosire e stimolare ancor oggi un pubblico interessato. I lettori che hanno invece interessi più specifici e di livello più scientifico, troveranno nel secondo volume una discussione più dettagliata e critica di ciascun argomento, la presentazione delle diverse teorie scientifiche espresse dagli studiosi da più di un secolo.

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Vol. 1: 320 pagine, 23 x 39cm.

Vol. 2: ca. 368 pagine, 23 x 39 cm, previsto per primavera 2023.

Una storia della basilica in due volumi

 

La basilica di Aquileia ha sulle spalle una storia di quasi duemila anni. Ogni epoca, dal primo cristianesimo fino ai tempi nostri, vi ha lasciato le sue tracce. Il visitatore trova immancabilmente, nel suo giro di visita, molteplici e suggestive testimonianze di epoche spesso molto lontane una dall’altra. E di certo non è facile riuscire a comprenderle all’interno della storia specifica della basilica e della storia artistica e culturale in generale. Se i rapporti tra l’una e l’altra sono sempre essenziali per la lettura di un complesso architettonico, essi lo sono ancor di più nel caso della basilica di Aquileia: l'importanza del mosaico pavimentale, ad esempio, non sta tanto nelle sue dimensioni o qualità, ma perché è preziosa testimonianza di un primissimo complesso del culto cristiano, tanto ben conservato come da nessun'altra parte. Lo stesso vale anche per la cattedrale eretta nell’Alto Medioevo o per i suoi affreschi romanici. Soltanto innestando ciascuno dei suoi elementi nel più ampio contesto della storia artistica e culturale a cui afferiscono se ne riesce a intendere l’eccezionale importanza.

Molti visitatori sono sorpresi delle dimensioni della basilica rispetto al piccolo paese che la contiene. Anche qui si devono chiamare in causa, per comprendere, i retroscena della fiorente città tardoantica e della sua rifondazione dopo il Mille, quando la si voleva capace di concorrere con Venezia: un progetto che, per vari motivi, fallì. La basilica è forse un caso unico in Europa, dove una cattedrale grosso modo fuori uso dal Trecento in poi veniva nonostante tutto ciò curata e restaurata, così come avvenne anche dopo il terremoto del 1348. Per ognuna di queste tappe, vi sono motivi storici precisi che ne spiegano il corso ed è per questo che il primo volume offre vasti capitoli sulla storia del patriarcato e il suo ruolo chiave nella politica imperiale. Visitando la basilica in questa maniera, la storia acquista una forma pienamente leggibile.

 

Appare strano che negli ultimi cento anni nessuno abbia tentato di riscrivere una monografia sulla basilica di Aquileia. L’enorme massa di saggi da parte di storici, archeologi e storici dell’arte, unita alla vastità dell’argomento, delle epoche da affrontare così diverse una dall’altra, le parti della sua architettura e del suo arredo liturgico devono aver spaventato non poco. Altrettanto difficili da risolvere sono le questioni su come presentare una tale opera, come finanziarla, considerando che ormai non si può più far affidamento su contributi pubblici o di banche e che una sempre più esuberante produzione di libri si contrappone a una percentuale di lettori sempre più ristretta. Una pubblicazione convincente necessita inoltre di un gran numero di foto di ottima qualità e questo fa lievitare i costi di produzione.

 

Nell’affrontare tutte queste problematiche piuttosto scoraggianti, abbiamo decisi di presentare il lavoro dividendolo in due volumi: il primo è riccamente illustrato con ottime foto a colori, accompagnate da testi di carattere introduttivo, tali da incuriosire e stimolare ancor oggi un pubblico interessato. Vi sono anche capitoli che trattano argomenti di storia e cultura più generali, come la persecuzione dei cristiani o il divieto di creare immagini dei personaggi sacri, tuttavia indispensabili per comprendere a fondo il monumento di Aquileia. Il primo volume è dunque una forma di compromesso che accetta il rischio intrinseco di essere troppo dettagliato per un pubblico più vasto e troppo generico per gli esperti. Ma se nessuno degli studiosi della basilica prova più a realizzare pubblicazioni certo approfondite ma anche alla portata di tutti i lettori, gli errori degli scritti del passato continueranno ad essere trasmessi ancora per decenni e le nuove acquisizioni critiche non verranno divulgate.

 

I lettori che hanno invece interessi più specifici e di livello più scientifico, troveranno nel secondo volume una discussione più dettagliata e critica di ciascun argomento, la presentazione delle diverse teorie scientifiche espresse dagli studiosi da più di un secolo e una marea di note, che sono state invece ridotte, nel primo volume, ad un minimo assoluto.

Questo secondo volume presenta anche il contributo di diversi esperti: Mara Mason espone  le sue ricerche sugli affreschi della cripta in relazione ai mosaici di Venezia e Trieste; Marcus Wenninger presenta il ruolo del patriarcato nel contesto della politica imperiale; Paolo Piva discute la datazione dei plutei, che è sempre stata creduta di epoca carolingia; Giordano Brunettin dimostra brillantemente l’impossibilità di una interpretazione gnostica dei mosaici; Emanuela Guidoboni ricontrolla le fonti sui terremoti ad Aquileia dal medioevo in poi e le possibili conseguenze sulla struttura portante della basilica; Petra Urbanova ha esaminato 25 prove di malta per identificarne la possibile datazione; Guido Driussi ha esaminato le prove di malta nella loro composizione chimica e fisica; il laboratorio Kotalla ha esaminato e datato 20 mattoni. Questi contributi migliorano o addirittura trasformano le nostre conoscenze della basilica. I loro risultati si trovano comunque già espressi nel testo generale del primo volume.

 

 

Sintesi del libro:

 

La cattedrale paleocristiana

 

Scavi effettuati intorno al 1900 scoprirono al di sotto della basilica medievale notevoli resti, sorprendentemente ben conservati, del primo complesso cristiano di Aquileia. La loro datazione va posta attorno all’ anno 300, mentre verso il 330 il mosaico pavimentale deve essere stato completato. Questo primo complesso, sicuramente già vescovile, aveva forme inconsuete, probabilmente perché fu uno dei primi ad essere eretto. Una datazione più precisa non pare possibile, ma di certo è esempio tra i primi di un complesso chiesastico cristiano concepito prima che il modello di basilica promosso da Costantino si affermasse dovunque.

Come accadeva spesso troviamo la chiesa eretta al di sopra di case romane di famiglie piuttosto ricche. Non vi sono prove evidenti della presenza stabile, in una di queste case, di una prima comunità cristiana; forse fu proprio il primo vescovo documentato nella storia di Aquileia, Teodoro, il donatore del terreno o della prima chiesa. Una iscrizione nell’aula nord così lo celebra: Teodore felix - hic crevisti - hic felix. (Foto 1) Se nel tradurre si intende che Teodoro era qui cresciuto, allora la casa sostituita dalla prima chiesa era proprio la casa della sua famiglia. Ma certo si potrebbe leggere il crevisti come l’attestazione del progredire costante del suo servizio all’interno della comunità ecclesiale fino a diventarne il vescovo. In ogni caso sembra che l’ hic voglia attestare che Teodoro fu attivo in questo luogo già prima della fondazione del nuovo complesso. Nostro malgrado non è possibile chiarire neanche con l’impegno archeologico più accurato la trasformazione delle case romane prima della costruzione delle aule mosaicate e di intendere la loro funzione specifica. Alcuni studiosi credono che esse venissero trasformate in magazzini, altri interpretano il tutto come una prima domus ecclesia. Una vasca lunga e stretta (foto 2), appartenente alla fase transitoria, ricorda le prime vasche battesimali della Siria.

Sia come sia, sopra le case già trasformate in qualcos’altro nacque un grande complesso di culto cristiano con due grandi aule, una terza aula di collegamento tra di esse e vani minori, di cui uno fu identificato come un battistero. (foto 3)

Come testimoniano i resti trovati durante gli scavi, le aule erano vani molto ampi ma architettonicamente poco articolati, con pareti e soffitti affrescati. (foto 4). I pavimenti in mosaico somigliano in stile e temi ai pavimenti delle case romane dell'epoca, comprese quelle ritrovate ad Aquileia. La mancanza di scene di chiaro contenuto cristiano e la somiglianza con i mosaici di palazzi coevi hanno suggerito l’ipotesi che si fosse trattato della donazione di un palazzo imperiale da parte di Costantino, ma il palazzo in questione, documentato da varie fonti, deve essere rintracciato in una zona lontana da qui, al capo opposto della città e vicino, come normalmente era d’uso, al grande circo.

Il decoro pavimentale a mosaico fu eseguito in diverse fasi e con l’intervento di maestranze differenti: non è purtroppo possibile stabilire con certezza quanti anni intercorsero tra le varie fasi. Stilisticamente, una piccola zona a nord est appare come l’intervento più antico di tutti gli altri e qualitativamente il migliore: è databile probabilmente ancor prima del 300. Questi mosaici presentano inconsuete immagini di difficile lettura: vi si trovano animali muniti di attributi strani come un bastone, lo strumento del corno, o una falce, posti sulla cima degli alberi. (Foto 5)

Gli altri mosaici dell’aula nord mostrano uno stile del tutto differente: qui gli animali sono stilizzati, più grafici e molto meno vivaci. (Foto 6).

Essi corrispondono agli animali raffigurati nei mosaici dell'aula sud, che nel loro insieme appaiono però di una qualità migliore in confronto alla zona ovest dell'aula nord. Qui la presenza di tanti ritratti dai tratti così individuali aveva portato a interpretarli come figure di benefattori della chiesa, o di martiri o addirittura di membri della famiglia imperiale, ma consimili figure a mezzo busto e ben caratterizzate si ritrovano numerose in molti mosaici pavimentali dell'epoca. (Foto7). Un riquadro mostra una Vittoria, un altro un Buon pastore: entrambi possono essere letti sia in senso cristiano sia all’interno della tradizione pagana e profana. (Foto 8+9)

 

Di chiaro significato cristiano è invece senza dubbio il ciclo di Giona, inserito in una vasta scena marittima, ricca di eroti intenti a pescare e di evidente impronta profana, molto simile ai numerosi decori musivi tardo romani conservatisi fino a noi, come quello della Villa del Casale a Piazza Armerina. L’episodio biblico di Giona potrebbe essere stato inserito in un secondo momento, forse in occasione della morte di Teodoro, che viene ricordato in una iscrizione al centro della grande scena marina, che serviva come decorazione della zona presbiteriale.

Il pavimento musivo della basilica di Aquileia viene esaltato spesso come il più grande esistente, ma perfino ad Aquileia se ne trova uno ancora più grande, a Monastero. Anche la sua qualità artistica è alquanto nella media e solo le parti che appaiono essere le più antiche possono essere annoverate tra le opere migliori dell'epoca. Il valore unico di questi mosaici sta piuttosto nel fatto che si è preservato quasi intatto un primissimo tentativo di decoro per una chiesa. Probabilmente non fu coinvolta nessuna committenza imperiale e neppure la classe dirigente ad Aquileia lo sarà stata, perché ancora radicata nelle tradizioni e nella cultura pagana. Tutto il complesso episcopale, con la sua architettura e decorazione, ci trasmette l'idea di una impresa finanziata con i mezzi limitati di una comunità ancora in fase albescente. Mancano perciò anche colonne o marmi preziosi, come quelli utilizzati nei pavimenti delle aule dei grandi palazzi e delle basiliche cristiane di fondazione imperiale. Il modello del pavimento di Aquileia proviene invece dalle case private coeve, che erano pur sempre di famiglie benestanti.

Il programma iconografico abituale sembra però reinterpretato in senso cristiano: il cambio delle stagioni, la speranza di raccolti abbondanti, di fertilità e di una vita pacifica, dapprima presentati come merito di una politica imperiale pacifica e simboli di una età dell'oro, vengono ritrascritti nei mosaici di Aquileia ad indicare il regno di Cristo e la pace cristiana. Il Buon pastore pagano diventa il Buon Pastore cristiano, la natura idillica il rispecchiamento del paradiso. Eppure, il pavimento musivo pare costituire non tanto l'inizio di un'arte cristiana quanto l’addio ai significati di cui gli antichi mosaici erano portatori. La difficoltosa lettura delle immagini o, ancora di più, di racconti complessi raffigurati sui pavimenti, soprattutto durante i culti, quando un'aula era affollata di fedeli, unita all’inopportunità di porre immagini sacre in una posizione in cui sarebbero state calpestate continuamente, fanno sì che a partire dal 300-400 i mosaici vennero sempre più decisamente spostati in alto, sul catino absidale, dove erano ben visibili e perfettamente leggibili nel loro insieme.

Il tappeto musivo di Aquileia ha fondato una tradizione di pavimenti musivi in tutto il territorio della chiesa aquileiese, che perdurò fino al VI secolo, se anche presto ridotta a rappresentazioni puramente geometriche. Tale tradizione decorativa delle chiese della provincia ecclesiastica aquileiese sono un'eccezione in Europa, mentre attesta la sua forte contiguità con la Siria, con la quale esistevano anche intensi rapporti commerciali.

 

Mi pare possibile, infine, affermare, che ad Aquileia ci si trovi davanti ad un precoce esempio di complesso cristiano, iniziato già prima della persecuzione di Diocleziano. Le fonti documentano molteplici chiese costruite dopo la fine delle persecuzioni, alla metà del III secolo. In questi cinquanta anni, fino alla ripresa delle persecuzioni nell'anno 303, vennero eretti perfino grandi edifici monumentali, come documentato per Nicomedia. Finora non si è potuta identificare archeologicamente nessuna di queste prime chiese, così che rimane anche incerto se il modello basilicale fosse già in uso prima di Costantino. Il complesso a più aule di Aquileia potrebbe essere inteso come un primo e più antico modello e il cambiamento di stile riscontrabile nei mosaici dell'aula nord potrebbe documentare una interruzione dei lavori di edificazione e decoro del complesso episcopale a causa delle persecuzioni. Gli scritti di Eusebio attestano chiaramente che la distruzione di chiese non era la regola in questi anni pur così difficili per le comunità cristiane.

 

Il gran complesso vescovile del IV secolo

 

La messa della Pasqua dell'anno 345 fu celebrata da Atanasio, il patriarca di Alessandria in esilio, ad Aquileia, in una basilica non ancora terminata; la vecchia chiesa sarebbe risultata troppo piccola per la grande comunità. In questo momento pare già avviata la sostituzione del primo complesso di Teodoro con una basilica più grande; l'aula nord fu sostituita con una enorme basilica a tre navate, senza apside. Forse una cinquantina di anni dopo, anche l'aula sud fu sostituita da una basilica simile alla prima e tra le due venne posto un nuovo battistero, che però fu utilizzato molto poco, perché presto sostituito da uno ancora più grande posto di fronte alla nuova basilica meridionale. (Foto 11) La ragione dell’erezione di queste due basiliche ha suscitato grandi discussioni critiche - di cui dò conto in dettaglio nel secondo volume -, senza però riuscire a raggiungere una spiegazione ultimativa e convincente. Si tratta di un fenomeno che non troviamo soltanto in tarda antichità, anche in Oriente, ma che si protrae fin dentro al medioevo, come nei casi di Pavia o Brescia, dove si sa di un uso continuato, fino all’epoca moderna, di una cattedrale estiva e di una invernale, come anche di una chiesa parrocchiale accanto alla cattedrale.

Le due basiliche aquileiesi erano collegate da un lungo nartece, che portava a settentrione fino al palazzo vescovile. Davanti alla basilica settentrionale si estendeva un vasto atrio mentre un altro molto più piccolo collegava la basilica stessa al battistero.

Entrambe furono erette a quasi un metro sopra il livello delle vecchie aule, sepolte sotto le macerie; durante gli scavi del 1900, infatti, gli archeologi ritrovarono tra di esse molti frammenti della decorazione in affresco. E sotto questo spesso strato di detriti il vasto mosaico era rimasto perfettamente protetto.

Pochi invece i resti ritrovati delle due imponenti basiliche della fine del IV secolo: del mosaico della basilica settentrionale si sono trovati larghi campi, soprattutto dietro il campanile, mentre della basilica meridionale, ricostruita nel medioevo, è rimasto di meno, anche perché gli archeologi del 1900 erano più interessati al grande mosaico precedente. Soltanto nei pressi della crociera ne rimanevano resti consistenti. L’inserimento forzato di tombe medievali ed altri interventi l’avevano d’altronde in gran parte già distrutta. Per questi motivi, del complesso probabilmente più grande e anche più riccamente decorato della storia della cattedrale di Aquileia il visitatore vede oggi ben poco. Rimangono almeno le sue fondazioni come basi della basilica attuale e il battistero anche se privo ormai della sua cupola, crollata alla fine del Settecento.

Poco dopo aver raggiunto il suo punto di massimo splendore, iniziò il periodo del declino sempre più forte, che ebbe il suo tragico culmine nell'assedio e forse anche nella sua distruzione della città dalla parte di Attila. Il vescovo si rifugiò sull’isola di Grado, dove nei secoli tormentati dalle incursioni barbariche fece erigere un nuovo complesso composto di cattedrale, battistero, chiesa parrocchiale e palazzo. Le fonti tacciono rispetto ad un possibile tentativo di ricostruire anche Aquileia e la sua cattedrale; poco chiara è anche la consistenza reale delle distruzioni subite da entrambe durante il passaggio degli unni.

 

Aquileia nell'Alto Medioevo

 

Sotto il domino bizantino il vescovo di Aquileia comincia ad attribuirsi l’appellativo di patriarca e postula una propria tradizione apostolica radicata nella leggenda della fondazione marciana, cioè da parte dell’evangelista Marco, del proprio episcopato, forse spinto a questo passo ideologico dal conflitto dogmatico che la chiesa di Bisanzio, e dunque anche Aquileia, aveva allora con il Papa di Roma. Dopo l'arrivo dei Longobardi Grado con tutte le lagune venete rimaneva sotto Bisanzio e il patriarca venne utilizzato come strumento del potere bizantino nel nordest d'Italia. Ciò diede probabilmente motivo ai Longobardi di sostenere un patriarca di proprio gradimento a Aquileia, che governasse la stragrande maggioranza della vecchia provincia ecclesiastica. Così, dal VII secolo si ebbe la presenza di due patriarchi: uno sostenuto da Bizanzio, per il territorio bizantino delle lagune venete con residenza a Grado, che tuttavia presto si rifugiò addirittura a Venezia, ed uno per il territorio longobardo, che a causa dei continui conflitti con Bisanzio si rifugiò dapprima in un castello a Cormons e poi scelse come sua sede fissa la residenza ducale longobarda di Cividale. Se in questi secoli tormentati si fosse intrapresa una qualche ricostruzione della cattedrale a Aquileia non è dato purtroppo sapere.

Quando Carlo Magno divenne successore nel regno d'Italia dopo la disfatta dell'ultimo re dei Longobardi, fu suo desiderio e strategia politica ottenere il riconoscimento della sua autorità imperiale da parte degli imperatori d’Oriente. L’impegno militare bizantino su più fronti era assai problematico, e per questo anche Bisanzio cercava un accordo con Carlo: il riconoscimento come imperatore gli sarebbe tuttavia costato la rinuncia al dominio sulle lagune, e avrebbe inoltre permesso a Venezia di garantirsi l’indipendenza in futuro e di riconoscere per il territorio almeno nominalmente bizantino un proprio patriarca a Grado. Le fonti non permettono neppure di capire se Carlo Magno sostenne il desiderio del patriarca di Cividale di ritornare ad Aquileia. Ciò che è documentato è la donazione di Carlo al patriarca di una fattoria con i suoi annessi e campi in Aquileia, perché il patriarca Massenzio desiderava far erigere degli atrii. Ciò che nuovamente non può esser stabilito con sicurezza è cosa si intendesse per “atrii”. Era forse una nuova chiesa o nuovo palazzo vescovile? Non sappiamo neppure se questo progetto di edificazione di un qualcosa fu mai avviato. Per tutto il periodo mancano attestazioni scritte per Aquileia: abbiamo notizia soltanto del trasferimento di una decina di famiglie da Aquileia a Venezia. In tutti i casi, una possibile rifondazione di Aquileia come città metropolitana non ebbe di certo luogo. Non sono documentati lavori in basilica e alcune sue parti importanti, giudicate un tempo come elementi di cultura ed epoca carolingia, come la cripta ed i plutei, sono oggi all'unanimità datati come interventi dopo il Mille.

 

La rinascita romanica

 

Sotto Otto I la situazione politica si ripeteva: Bisanzio riconobbe il titolo imperiale pagato a caro prezzo dall’imperatore, con il rinnovato riconoscimento della posizione di Venezia e del patriarcato di Grado. Solo i suoi successori non furono più interessati a ricercare l’approvazione di Bisanzio al proprio potere, ma nel frattempo Venezia aveva accresciuto di proprio potere economico e politico e disponeva di una marina che si dimostrava indispensabile partner per garantire un controllo del Mediterraneo: tutti elementi che sconsigliavano di avventurarsi in un conflitto permanente con la Serenissima. Il patriarcato di Aquileia ottenne tuttavia almeno un sostegno deciso degli imperatori germanici per stabilizzare e potenziare il proprio potere e controllo amministrativo e giuridico sui territori del nord-est: donazioni sia di territori sia di potere locale. I patriarchi erano ormai strumenti importanti nella politica dell’Impero e venivano pertanto scelti fra i più fedeli personaggi della corte, spesso in diretta parentela con l’imperatore. Il patriarca Giovanni, presente alla consacrazione della cattedrale imperiale di Bamberga in qualità di rappresentante della Chiesa d’Italia, pare abbia come primo pensato a un ritorno a Aquileia, ma soltanto sotto il suo potente successore, Poppo, il ritorno è accertato dalle fonti. Poppo istituì nell’antica, gloriosa città metropolitana un capitolo costituito da ben cinquanta membri, ben dotato con un vasto patrimonio. Fu lui a consacrare nel 1031 la nuova cattedrale. Di questo atto rende vivida testimonianza il grande affresco dell’abside, uno dei primissimi esempi di pittura a fresco monumentale d’epoca romanica in Europa conservatoci. (fig. 12) Vi riconosciamo anche Poppo fra i santi venerati dalla chiesa locale e tutta la famiglia imperiale. Ancora assai discussa è la questione del suo ruolo nella ricostruzione basilica: fu lui a volerla iniziare? fu lui che riuscì a portarla a termine? Numerosi cambiamenti di un progetto iniziale possono essere letti ancora sulle murature della basilica; il primo progetto pare fosse più vicino all'architettura tedesca coeva, così come la vediamo interpretata anche nelle cattedrali di Ivrea e Aosta, ambedue costruite da vescovi vicini alla corte imperiale. La seconda fase progettuale prese invece a modello la basilica romana di San Pietro, con colonne alle testate di un grande transetto, capitelli classicheggianti a coronamento della fila di possenti colonne in navata, e la rinuncia totale alla presenza di pilastri, come in uso in Germania. Se questo modello fu scelto per richiamare la tradizione apostolica marciana o la tradizione imperiale della fondazione di Costantino e del luogo dell’incoronazione degli imperatori non è chiaro, forse ambedue i motivi erano di pari importanza per Poppo. È plausibilmente da attribuire alle sue volontà anche l’erezione del campanile accanto alla basilica, anch’esso una probabile citazione del modello di San Pietro, che si pone comunque all'inizio delle tante torri campanarie indipendenti consimili erette nell’XI secolo.

La basilica superava di molto per dimensioni e sfarzo la fondazione dogale di Torcello e delle altre chiese del nordest d’Italia. L’assalto armato a Grado, il recupero delle reliquie della chiesa aquileiense e il definitivo riconoscimento del vescovo di Aquileia come unico patriarca da parte del papa – mentre Grado veniva degradata a semplice parrocchia- sono altri successi diplomatici e strategici di questo potente patriarca.

Stando così le cose, Venezia si sentì offesa, tanto da rispondere con la costruzione della magnificente basilica di San Marco, che prese il posto di una molto più piccola, eretta poco prima. Anche la nuova San Marco copiava una basilica apostolica, ma non quella di San Pietro a Roma bensì quella bizantina con le sei cupole di Costantinopoli. Si voleva così dimostrare il lascito legittimo e diretto della propria chiesa dall’evangelista Marco, denigrando il ruolo fondante di Aquileia, degradata a fondazione successiva e dunque di secondo grado. In questa guerra di propaganda nascevano, in significativo parallelo, anche gli affreschi della cripta di Aquileia attorno al 1100 – uno dei più integri e ben conservati cicli affrescati del tempo - e i mosaici di San Marco. In uno dei cicli musivi marciani, ampliato in diverse fasi, si volle rispondere proprio al ciclo affrescato nella cripta della basilica di Aquileia, rivendicando con forza la posizione di Venezia come unica legittima erede del messaggio e del legato dell’evangelista Marco.

Nel XI secolo dunque si creava una grandiosa basilica arricchita da una decorazione di valore particolare: innovativa in molti suoi aspetti, con una altissima qualità nella scultura dei capitelli e dei plutei e con affreschi di grande valore testimoniale per tutta la pittura romanica europea. Mentre altre chiese del primo romanico furono demolite e sostituite da nuove chiese, oppure divennero vittime di nefasti restauri radicali, che eliminarono ciò che rimaneva ancora della loro sostanza originale, la basilica di Aquileia venne quasi miracolosamente risparmiata da tutto ciò, presentandosi ancor oggi come l'esempio più autentico e quasi intatto della prima arte romanica.

 

La basilica dal basso medioevo fino oggi

 

Nel XIII secolo il territorio di Aquileia divenne sempre di più paludoso e la malaria vi si diffuse cronicamente. I patriarchi, ormai anche signori temporali che esercitavano il potere politico e con diritti ducali nel Friuli, preferivano sempre di più risiedere nel castello di Udine, che godeva di una posizione centrale sul territorio. Quando nel 1348 un fortissimo terremoto danneggiò pesantemente la basilica di Aquileia, essi chiesero la traslazione della sede arcivescovile a Udine, ma il papa negò loro il permesso. La ricostruzione della basilica si prolungò molto nel tempo, per mancanza di mezzi finanziari ma anche perché mancava un vero interesse. Contro la volontà del capitolo, oramai ridotto notevolmente di numero, che desiderava una moderna cattedrale gotica si ripiegò verso un parziale riammodernamento e per un consolidamento delle strutture della vecchia basilica. A parte la volontà/necessità di risparmiare, si desiderava conservare il monumento storico così come era, poiché questa infine era diventata la sua più alta funzione: difendere e testimoniare la posizione storica particolare dei patriarchi, in conflitto costante con Venezia. E mentre i patriarchi non erano quasi mai presenti ad Aquileia, la basilica veniva mantenuta e officiata dal capitolo ridotto ma presente.

La ricostruzione creava una nuova navata centrale impostata su archi gotici, una volta in legno (a carena di nave) su modello veneto e alcuni buoni interventi di scultura gotica sui capitelli della crociera.

Attorno al Cinquecento il capitolo volle rimodellare il presbiterio secondo modelli del primo rinascimento veneziano: venne realizzata così un’elegante tribuna sopraelevata e due nuovi altari. Il progetto di un intervento più radicale, che avrebbe disfatto l’intero coro e l'abside romanica non venne per fortuna mai messo in opera.

 

Con la conquista del Friuli da parte dei veneziani nel 1420/1421 il patriarca perdette il suo potere politico e nei secoli successivi la cattedra divenne prerogativa assoluta del patriziato veneziano, sotto lo sguardo sempre più rabbioso ma impotente degli imperatori a Vienna. La maggior parte delle diocesi suffraganee sotto Aquileia si trovava in territori asburgici, così come lo era anche più della metà dell’arcidiocesi stessa di Aquileia-Udine. La continua protesta degli imperatori presso la sede papale a Roma non portava alcun frutto: essi richiamavano l’antica tradizione del patriarcato, la sua fondazione apostolica; rammentavano delle ricche donazioni da parte degli imperatori nel medioevo nonché lo scontento dei vescovi suffraganei tedeschi che mal sopportavano l’occupazione del seggio patriarcale esclusivamente da parte di veneziani. Le richieste disattese e lo scontento serpeggiante cominciò dunque a tingersi politicamente e a divenire una questione di carattere nazionale. In questo conflitto politico il capitolo, anch’esso in mano veneziana, fece sostituire nel 1733 il grande affresco absidale con il suo messaggio filoimperiale con un banale affresco tardobarocco. Fu solo agli inizi del Novecento che quest’opera di scarso valore artistico venne finalmente rimosso per ripristinare la sottostante pittura romanica, tuttavia pesantemente danneggiata da questo dissennato e astioso intervento.

Già alla metà dell’Ottocento si diede avvio ai primi grandi restauri della basilica, finanziati privatamente dagli imperatori. Questi restauri meritano una posizione particolare nella storia della conservazione dei monumenti storici, perché furono eseguiti con una scrupolosità e cura straordinaria, del tutto insolita a quei tempi e che ritroviamo normalmente soltanto negli interventi contemporanei.

 

Il libro si conclude narrando la sorte della basilica negli ultimi cento anni, a partire dai grandi scavi fino alla strumentalizzazione nazionalistica del suo patrimonio artistico e monumentale durante la prima guerra mondiale e poi al tempo del fascismo; quest’ultimo la investì di una retorica brutta e piuttosto grossolana che solo grazie al tempo ormai trascorso possiamo oggi trovare persino divertente o grottesca.